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Scoperta tra il 1873-74, la conceria fu scavata nella sua completezza da Amedeo Maiuri negli anni ’50. Nell’edificio erano l’abitazione del gestore e gli ambienti destinati alle lavorazioni, come il porticato diviso in sei scompartimenti, separati da cinque tramezzi, in 3 dei quali è murata la conduttura che portava acqua alle giare. Nella zona retrostante si trovano 15 vasche circolari in muratura, rivestite di cocciopesto, con foro di carico e scarico. Dodici di esse venivano usate per la concia al vegetale di pelli grandi e 3 per quella all’allume di rocca di pelli piccole. Sotto il portico centrale avveniva la prima fase del lavoro, ovvero lo scuoio dell’animale, poi seguita dall’immersione nei tini. Qui le pelli venivano trattate con il tannino. Al livello superiore del primo ambiente si pensa ci fosse uno stenditoio dove le pelli venivano stese ad asciugare. Sul fondo del cortile si trova un triclinio con una tavola centrale prima decorata da un famoso mosaico, ora al Museo Archeologico di Napoli, che con la rappresentazione naturalistica del teschio e degli strumenti da muratore, esprime allegoricamente la caducità della vita e l'incombere della morte. L’impianto è stato studiato da un gruppo francese di archeologi guidati da Jean Pierre Brunn, attuale direttore del centro Jean Bérard di Napoli, specialista in artigianato nell’antichità, in collaborazione con la Soprintendenza.
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