Friday 23 October 2009

Articolo: Da Roma a Cambridge passando per Ercolano


Andrew Wallace-Hadrill ha lasciato la direzione della British School at Rome

Il Giornale dell'Arte n. 291, ottobre 2009 - Marisa Ranieri Panetta

ROMA. Cambio di direzione alla British School at Rome. Dopo quattordici anni Andrew Wallace-Hadrill ha lasciato la prestigiosa sede dei Parioli per diventare presidente del Collegio di Sidney Sussex nell’Università di Cambridge.

Al suo posto è arrivato un altro professore di Storia romana: Christopher Smith. Per Wallace-Hadrill non si tratta però di un biglietto aereo di sola andata. Legato alle antichità del nostro Paese, dove ha un gran numero di amici, continuerà a dirigere l’Herculaneum Conservation Project, del quale fanno parte il Packard Humanities Institute e la Soprintendenza di Napoli e Pompei.

Nato a Oxford 58 anni fa, Wallace-Hadrill, da sempre attratto dall’Italia e dalla sua storia, appassionato allo studio del latino (e del greco), ha avuto il suo colpo di fulmine a 16 anni, quando ha visitato gli scavi delle città vesuviane nella penisola sorrentina. Dai Grand Tour e viaggi sentimentali, alla brillante carriera di studioso con percorsi privilegiati: il periodo tra repubblica e impero e i luoghi sepolti dall’eruzione del 79 d.C., oggetto delle principali ricerche. Tra le numerose pubblicazioni scientifiche spiccano infatti Houses and Society in Pompeii and Herculaneum (1994) e Rome’s Cultural Revolution (2009). Il professore inglese, lavorando gomito a gomito con i nostri archeologi, ha conosciuto i lacci burocratici, le difficoltà economiche e gestionali della tutela, e ha avuto a che fare con ministri e sottosegretari (“Con tutti ottimi rapporti personali”, ci tiene a precisare).

Che idea si è fatto della politica culturale italiana?

Premessa la mia stima per le tante figure che si sono mostrate più attente a questi problemi, devo confessare che trovo la politica italiana, in generale, molto deludente. Le difficoltà legate alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio culturale sono profonde e le colpe non sono di un governo in particolare. Per quanto riguarda, ad esempio, Pompei ed Ercolano, ci sono stati in un lontano passato governi attenti, a cominciare dai primi re borbonici, passando per il ventennio fascista. In tempi più recenti, si è dimenticato che il patrimonio culturale porta un contributo enorme all’economia e che, per mantenere questa ricchezza, si deve continuamente investire fondi.

Cos’è che manca a suo avviso a Pompei?

L’ottima iniziativa della Soprintendenza autonoma è stata vanificata dalle nomine, spesso politiche, di amministratori responsabili delle finanze. Si parte sempre dalla convinzione errata che Pompei sia un tesoro da gestire e invece è una grande responsabilità culturale per l’intero Paese. Ciò che portano i siti archeologici in termini di conoscenze e di fruizione non può essere banalizzato dalla speranza di ricavarne unicamente una fonte di risorse economiche.

Dunque, una gestione della cultura troppo politicizzata.

Senz’altro. Sarebbe meglio adottare un sistema svincolato dal potere dei partiti per i finanziamenti e l’impatto economico. L’English Heritage (valido in Inghilterra, non nel resto del Regno Unito, Ndr), ad esempio, è un ente indipendente che ha il compito governativo della tutela dei beni; si avvale di indiscutibili competenze e gode anche di finanziamenti privati.

Tra i tanti Soprintendenti che ha conosciuto o visto all’opera, che ha maggiormente apprezzato?

In questi anni ho avuto il privilegio di incontrare soprintendenti straordinari per impegno e coraggio, come Pietro Giovanni Guzzo, Adriano La Regina, Eugenio La Rocca e Stefano De Caro, quest’ultimo anche nelle vesti direttive. Ho però l’impressione che il sistema non abbia sempre apprezzato la fortuna che ha avuto nel poter disporre di queste personalità.

E quale museo?

Penso subito a Roma: il Museo della Centrale Montemartini, purtroppo poco visitato, ma davvero un unicum nel panorama museale internazionale; e poi il Museo Nazionale Romano nel suo complesso e, in particolare, la sede di Palazzo Massimo.

Il Louvre, che è il museo più frequentato al mondo con i suoi 8,5 milioni di visitatori, vanta anche un’invidiata gestione e la vendita di oggettistica di alto livello. Eppure, di recente, è stato criticato dallo scrittore Pietro Citati per l’invasione di “torme di turisti, preoccuparti di tutto tranne che dell’arte” (“La Repubblica”, 24 luglio). Molti sono d’accordo, ma tanti vorrebbero un Louvre anche in Italia.

L’Italia è molto diversa dalla Francia, e anche dall’Inghilterra. Qui i poteri, come i musei, sono meno centralizzati e questo, secondo me, è un bene. Chi viene nel Bel Paese sa di trovare in ogni regione, in ogni città, un carattere distintivo e una storia particolare.

Il British Museum, in quanto a numeri, non scherza: sei milioni di opere e una cupola di vetro sulla più grande piazza coperta d’Europa.

Ricordo che è gratuito e, a seconda del gradimento, i visitatori possono lasciare o meno un’offerta all’uscita. Ma, al di là dell’importanza e della quantità dei manufatti, il suo indiscutibile successo è anche connesso a una particolarità: l’eccezionale merchandising che vende le copie solo di ciò che è esposto nelle sue sale; se si vuole il ricordo della Stele di Rosetta, insomma, bisogna andare a Londra. Spesso nei musei italiani si vende di tutto, a prescindere dalla collocazione materiale.

A proposito del British, che cosa ne pensa della vexata quaestio sulla restituzione dei marmi del Partenone?

Sono stato ad Atene nel nuovo Museo e devo confessare che la possibilità di poter ammirare i marmi originali vicino al loro tempio è molto seducente e, nello stesso tempo, si deve ammettere che alcuni simboli sono fondamentali per l’identità greca moderna. Credo tuttavia che i musei non siano ancora pronti a restituire reperti significativi al Paese d’origine perché, se passa questo principio, apriremmo un vaso di Pandora dalle incalcolabili conseguenze.

Quali progetti ha in cantieri l’Herculaneum Conservation Project? Con che frequenza tornerà in Italia?

Ci tengo molto a portare avanti il mio impegno e verrò almeno una volta al mese, anche perché ora sono in vista risultati straordinari, con tre scopi principali. Il primo riguarda la soluzione di problemi infrastrutturali del sito: ricreare una rete fognaria e riparare i tetti non più funzionanti; il secondo, la ricerca di modelli di continua manutenzione per conservare nel tempo l’integrità dell’antica Ercolano; il terzo, risolver i problemi creati dalla scarpata precipitosa nell’angola nord-occidentale, dove sporge un lato semisepolto della Basilica, che merita di essere messo in luce.

Per quanto riguarda invece i nuovi scavi? La responsabile degli scavi per la Soprintendenza, Maria Paola Guidobaldi, ha parlato di lavori in corso per un collegamento con il teatro…

E’ il nostro sogno comune; ricollegare il sito sia con il Teatro ancora sotterraneo, sia con la Villa dei Papiri. E ri-aprire l’Antiquarium.


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